Sommario

L’obiettivo comune di molti architetti è aprire un proprio studio di architettura raggiungendo finalmente il sogno di mettersi in proprio. Avviare e gestire uno studio di architettura comporta una serie di attività e competenze molto diverse: tecniche, creative, manageriali, amministrative, negoziali ed anche comunicative.

Qualsiasi studio di architettura deve poter garantire la realizzazione delle aspettative dei propri clienti con precisione, rispetto dei tempi e dei costi, assolvendo anche il gravoso compito di redigere le pratiche burocratiche ed amministrative che la legge impone. Uno dei principali problemi da affrontare prima di aprire uno studio di architettura è il sostenimento delle spese di costituzione dello studio in se: acquisto di mobilio, attrezzature, computer, stampanti e plotter.

A tutto questo poi devono essere aggiunte tutte quelle spese inerenti la gestione ed il mantenimento del locale: le spese di affitto, le utenze, le spese amministrative, le spese relative alle banche dati per l’aggiornamento professionale, le spese relative ai software gestionali (molto costosi in questo campo) e quelle relative al pagamento dei contributi previdenziali. Ecco che per ammortizzare i costi, gli architetti, così come qualsiasi libero professionista si orienta sempre di più verso il coworking. Ma di cosa si tratta esattamente?

 

Coworking: una nuova filosofia di condivisione degli spazi

I freelance (non solo architetti ma anche ingegneri, designer, ecc.) possono svolgere la propria professione ovunque e in autonomia grazie alle nuove tecnologie, ma sempre meno in condizione di potersi permettere di pagare l’affitto o l’acquisto di un ufficio proprio. E’ in questo contesto che si inserisce il coworking che significa letteralmente lavoro condiviso all’interno di uno spazio in comune. Si tratta di un nuovo stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro e di risorse, tra professionisti che fanno lavori diversi con approccio collaborativo. Il coworking cambia dunque il lavoro: infatti offre la possibilità ai professionisti di abbattere i costi fissi di gestione di un classico ufficio, la flessibilità d’impiego degli spazi e degli strumenti di lavoro, ma soprattutto l’opportunità di creare una o più comunità nella quale riconoscersi e dalla quale sentirsi riconosciuti, che abbia come obiettivo una convivenza sociale e professionale.

 

Come aprire uno studio in condivisione

La procedura per aprire uno studio in condivisione è piuttosto semplice. Ciò di cui si ha davvero bisogno può essere riassunto nei seguenti punti:

  • uno o più locali da utilizzare per ospitare i professionisti interessati a condividere uno spazio di lavoro;
  • una sala riunioni accogliente, spaziosa e ben strutturata per accogliere i clienti;
  • una zona ristoro dotata, ad esempio, di frigorifero o zona caffè, nella quale offrire agli affittuari uno spazio per rilassarsi durante le pause;
  • mobili da mettere a disposizione di tutti (scrivanie, librerie, ripiani, sedie, mensole, ecc.);
  • connessione wi-fi superveloce, luci e prese della corrente;
  • computer aggiornati di ultima generazione, stampanti, telefoni e fax.

 

Burocrazia

Cosa bisogna fare per regolarizzarsi da un punto di vista meramente burocratico? In linea di massima possiamo dire che per aprire uno studio d’architettura in condivisione basta semplicemente:

  • possedere una partita IVA;
  • inquadrare l’ambiente come struttura condivisa;
  • redigere dei contratti di locazione per ogni postazione affittata.